Visto da qui, dalla sua superficie, il continente Europa sembra sempre più un fantoccio rappezzato, un bambolotto composito e torto che una bimba cresciuta abbia abbandonato, un vecchio mostriciattolo sul cui corpo inerte ci affanniamo noi, microrganismi smarriti, ormai incapaci - ma da quando? - di riconoscerci l’un l’altro. Visto da qui, il continente Europa non appare minacciato tanto dall’esterno, da germi e lacerti di popolazioni nuove, diverse, fuggite, che approdano allo stremo sul suo corpo inerte, quanto dal suo stesso interno, da noi microrganismi smarriti che, incapaci di riconoscerci l’un l’altro, non sappiamo fare altro che temere nel nuovo il diverso, e nel diverso una minaccia più grande di noi: di noi che il timore dell’abbandono sta trasformando in mostri. Ma l’abbandono è già avvenuto, la politica ha abdicato, regnano ormai da sole le leggi di un vorace, insinuante artificio, abilissimo nel farsi credere natura: la legge del più forte tradotta in sistema di scambio. Così avviene che, sullo sfondo di questa biologia fasulla, che ci nutre di malie mentre depreda la pelle morente che abitiamo, rendendoci più poveri, non troviamo altro scongiuro che respingere altri poveri, più poveri di noi. Questa è la nostra pelle!, urliamo spaventati, non perché stia morendo, ma per serbare l’esclusiva della nostra agonia. Non è allo sfondo che rivolgiamo le nostre urla di rifiuto, non all’artificio predatore, ma ad altri smarriti, più smarriti di noi: i soli che, nel comune smarrimento, potrebbero aiutarci ad abbattere lo sfondo artificiale e tornare a riconoscerci l’un l’altro, tutti quanti. I soli che potrebbero aiutarci a salvarci la pelle. Giacché non vi è emergenza legittima al di fuori dell’emergenza di specie. Non vi è paura sensata al di fuori della paura di estinguersi. Non vi è frontiera difendibile che non sia quella fra la vita e la morte. E non vi è crisi se non quella dei valori di uguaglianza e fratellanza, che permettono alla specie di governare la paura e di rendere più umana e accettabile la sola, fatale frontiera entro la quale viviamo, tutti quanti, sul grande pupazzo del mondo, fra le braccia perenni del cosmo.
Stefano Zangrando